“Mio padre racconta il Novecento” di Teresa Armenti


E’ uscita in questi giorni la ristampa del libro per le Edizioni Magister di Matera.

Zio Felice, il papà di Teresa, protagonista di questo libro prezioso, ho avuto la fortuna di conoscerlo, di parlarci in più occasioni e molte storie le ho sentite raccontare direttamente da lui.
Perchè un libro prezioso?
Perchè è un dono di una figlia al padre e viceversa, perchè è un libro di memorie personali e al tempo stesso collettive, perchè racconta la storia del nostro Novecento dal punto di vista della gente comune del Sud, perchè mette in luce tutta la fragilità e la forza del popolo contadino lucano costretto da sempre a lottare in silenzio e in solitudine.
Quello che trascrivo è forse una delle parti più belle, intense e toccanti del libro. (Maria Pina Ciancio)


Accunzato1 a sette anni (L’incipit)

A sette anni, andai a scuola. Gli alunni erano tanti e le maestre poche. Donna Caterina – così si chiamava la mia maestra – abitava in piazza, nel palazzo baronale; “faceva” scuola in una stanza della sua casa. Potevamo essere più o meno una trentina, tra maschi e femmine. All’inizio riempivamo pagine e pagine di aste e di virgole, poi passammo alle lettere dell’alfabeto. Appena terminò l’anno scolastico, andavo in campagna con mio padre.
Allora lavoro non ce n’era. C’era tanta povertà. Ci aspettavano solamente le terre da coltivare, ma la resa2 era minima.
Un giorno ero andato con mio padre in campagna, a Bruscate. La sera, stavamo rientrando con l’asinello carico di legna, quando, lungo la strada, incontrammo un pastore che veniva da Serra la Giumenta 3. Il pastore, che si chiamava Pastatosta, si avvicinò a mio padre e gli chiese, guardando fisso me, che camminavo timido timido dietro l’asinello:
«Ma t’è figlio questo bambino?»
«Sì!»
Stette un po’ soprappensiero, poi, rivolto a mio padre, gli fece questo ragionamento:
«Questo, lo devi far mangiare, lo devi vestire, lo devi calzare.
Quanto ti viene a costare!?
Accunzalo!
Ti fai dare 100 lire l’anno; ti fai dare un quintale digrano di sparagno14».
«Eh! …» esclamava mio padre.
«Ti fai dare cinque chili di lana. Vai dal cardalano, te la scarda e tua moglie, con i ferri, ci fa le calze e ci vai bello caldo caldo, d’inverno, tu e tutta la famiglia».
«Eh! …» sospirava mio padre.
«Ti fai dare cinque chili di formaggio e te lo grattugi sui maccheroni, la sera, quando torni dalla campagna.
Ti fai dare pure un agnellino».
«Eh! Eh!» continuava ad approvare mio padre, piegando la testa.
«Il padrone si deve preoccupare di tutto per il bambino: lui se lo deve calzare, se lo deve vestire e lo deve far mangiare. In una masseria, posta all’altro versante del fiume Cogliandrino, vanno appunto trovando un bambino che deve guardare le pecore».
Mio padre seguiva il discorso con attenzione, sospirava solamente, piegava la testa, si fermava ogni tanto, ma non diceva nulla.
(…)

tratto da pp 20-21

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1 Messo a padrone.
2 Guadagno.
3 Campagna di Castelsaraceno.

~ di Maria Pina Ciancio su dicembre 3, 2022.

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